
Nella sua calura permanente l’isola si nutre del sudore della gente. Non di chi se lo toglie dalla fronte con il palmo della mano, ma di chi aspetta sotto il sole qualcosa che non arriva.

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Attendono che qualcuno suoni un gong e i fichi d’india diventino palline da tennis con cui giocare, che le impiegate delle Poste inizino a sorridere come hostess svedesi e le strade si riempiano di coriandoli.
Il loro sudore pigro nutre la spugna a tre punte e la rende pesante. Chi aspetta resta, chi non aspetta parte. Gli anziani trovano refrigerio dentro i centri commerciali, i loro figli nell’aria condizionata di un ufficio, i loro figli dentro gli alcolici.
L’isola non va a mollo. Si muove, si scompagina, si rivolta dentro al letto e a volte si sveglia e urla due o tre parole confuse.
Quando cala la notte è troppo tardi per pensare al futuro, anzi troppo presto. Nel loro sonno permanente gli isolani strizzano la spugna, ma poi si svegliano.