1.
Musica da aeroporto
Chopin non avrebbe voluto che gli venisse intitolato un aeroporto, perché nessuno ricorda il nome degli aeroporti e sono le piazze, i teatri e i vicoli – specialmente quelli ciechi – che garantiscono la vera immortalità.
E poi tra 50 anni magari non avremo aeroporti, ma piazze, teatri e vicoli sì, quindi per solidarietà verso il compositore polacco attacco un Notturno su Grooveshark, il fratello povero di Spotify, e mi dirigo verso il nastro che dovrebbe restituirmi il bagaglio che ha viaggiato in aereo insieme ai suoi simili fino a giungere qui, a Varsavia.
Giunto di fronte al nastro ritrovo, come in ogni viaggio che si rispetti, i tre tipi fondamentali di nastropersonalità: il primo è l’impaziente businessman che guarda l’orologio e si chiede come mai debba mescolarsi alla massa, lui che durante il volo ha avuto più spazio per le gambe e ha bevuto Dom Perignon, adesso deve aspettare come l’ultimo dei paria-economy.
Di solito si posiziona di fronte alla bocca sputabagagli come un drogato in attesa della prossima dose. Il nastro dei bagagli è come la morte: puoi aver volato da re o da plebeo, ma il destino che ti aspetta è in definitiva lo stesso.
C’è poi la coppia di innamorati che è felice a prescindere e quindi non soffre del tempo che passa perché nessuno dei due vorrebbe essere da un’altra parte o con qualcun altro e che quindi attende con serenità l’arrivo della valigia.
La scena è sempre questa: lei cerca di capire se il bagaglio è quello giusto da lontano, mentre l’uomo controlla solo quelli che gli passano di fronte.
Dopo 5 falsi allarmi la donna capisce improvvisamente che il bagaglio che le sta passando di fronte agli occhi è il suo, allora si china per prenderlo ma l’uomo la blocca e si allunga per afferrarlo.
La nastropersonalità del terzo tipo si esprime nella figura del camminatore altruista: colui che non sta mai fermo e non può trattenere l’impulso di aiutare donne che hanno avvistato la preda o che combattono per sottrarla allo scorrere del nastrofiume, talora con una preferenza per la fascia 18-30 e specifiche taglie di reggiseno, talora con una generosità onnicomprensiva verso il genere umano e le sue necessità di recupero bagagli.
Io invece inganno l’attesa con pensieri costruttivi come lo scenario immaginario in cui qualcuno si è imbarcato sul volo con il preciso intento di rubare le mie mutande, il mio rasoio elettrico e tutto il resto della mia Samsonite; l’idea di aver perso tutto per sempre e la conseguente sofferenza, misurata – più che in denaro – in ore di shopping forzato; l’immagine di me solo di fronte al nastro che continua a scorrere, in un aeroporto buio, con un riflettore su di me e la voce fuori campo del doppiatore italiano di Kevin Spacey che mi chiede se sia davvero il caso di stare ancora lì ad aspettare.
Eccolo il mio trolley! Niente ladri, smarrimenti o attori americani, eccomi Varsavia! Sono pronto! Sono tutto tuo. Aspetta, c’è qualcosa che non va. Nessuno può uscire dall’aeroporto. Cosa è successo?
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2.
continua…